“Dalla due giorni di mobilitazione e discussione No base: fermare la base è possibile e dipende da noi!”

Condividiamo il testo di resoconto a conclusione della importante due giorni appena passata di lotta e discussione contro il progetto di costruzione della nuova base militare Gis e Tuscania a San piero a grado e pontedera. Buona Lettura!

Si è conclusa la due giorni di mobilitazione no base del 26 e 27 aprile: un piccolo grande passo in cui centinaia di persone hanno raggiunto San Piero a Grado dal territorio pisano e dalla Toscana, per affermare la propria contrarietà alla costruzione della base militare e il desiderio di costruire collettivamente nuove possibili prospettive di Pace. In questa occasione, con nuovi stimoli e adesioni, si è rafforzata un’esigenza di chiarezza e un’urgenza di azione nel presente e nel futuro.

Con il presidio di sabato in centinaia abbiamo manifestato davanti ai cancelli della base CISAM con l’obiettivo di rompere il velo di menzogna permanente che avvolge il progetto: non si tratta di una riqualificazione di pochi edifici come vogliono fare credere, ma di 100 ettari di cemento e infrastrutture militari addestrative per più di 800 militari delle forze speciali dell’esercito Tuscania e GIS; non ci sono compensazioni che tengano di fronte a questo scempio del nostro territorio. La menzogna avvolge il progetto, perché le istituzioni che avrebbero il dovere di tutelare il Parco Naturale di Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli, così come quello di Pontedera, a partire dall’Ente Parco, dai Comuni di Pisa e Pontedera, dalla Regione sino al Governo, continuano a sostenere che non sia a disposizione alcuna documentazione, talvolta che questa documentazione addirittura non esista. A gran voce, con battiture sonore ai cancelli, cori e interventi, abbiamo voluto ribadire un punto: questa documentazione deve essere resa pubblica e le istituzioni devono procedere con un’ispezione dell’area CISAM per rendere noto alla popolazione se e cosa sia già in movimento all’interno di quelle reti, di fronte a mesi di flussi di mezzi pesanti dall’esterno all’interno della base. 

Sono già cinque i comuni intorno a Pisa in cui sono state prese delle posizioni contro la nuova base militare: a San Giuliano, Vecchiano, Vicopisano, Calci e Calcinaia, sindaci e consigli comunali hanno detto No al progetto; il sindaco di Calci, con il proprio partito, ha espresso vicinanza alla mobilitazione no base ed è passato al presidio di sabato.

“Europa Verde chiede anche la massima trasparenza in tutte le procedure di autorizzazione di una nuova installazione militare nel territorio pisano. “Non solo, – conclude la nota del partito – ma confermiamo la contrarietà ad inserire una base in un territorio pregiato e prezioso come quello del Parco e, più in generale, riteniamo assolutamente inaccettabile che si cerchi di agevolare la costruzione di installazioni militari in aree a vincolo con norme varate “ad hoc”.
Un estratto dalla nota del Partito Europa Verde

Il nostro messaggio, da oggi ancora più chiaro, è che in ogni sede, istituzionale e non, ciascunə dovrà fare la propria parte perché quella documentazione sia resa pubblica, accessibile e trasparente.

“Il nostro presidiare questo territorio è quanto mai espressivo della volontà di esserci, esserci dove non ci vorrebbero, esserci in quei luoghi ritenuti sfruttabili e sacrificabili per interessi di profitto; per costruire un’alternativa, anche quando ci dicono che alternative non ce ne sono, anche quando ci fanno credere che le basi e la guerra portano profitto, quando invece questo è per pochi e la distruzione per tuttə, a partire dalle terre.”
Un intervento davanti ai cancelli del CISAM

Nel presidio di sabato si è espressa la ricchezza delle motivazioni no base: associazioni e comitati territoriali da Pisa a Coltano, dalla Valdera alla Val di Cornia, da Viareggio al Monte Amiata, da Lucca alla Sardegna, hanno portato con convinzione le posizioni di chi vuole unirsi per difendere l’ambiente, il territorio e il Parco e battersi per una pace effettiva e disarmata, a partire dall’’impedimento della costruzione della nuova base militare;

Tanti studenti e studentesse hanno ribadito la centralità dell’università nello scenario bellico. Le studenti in mobilitazione per la Palestina hanno sottolineato la complicità delle istituzioni universitarie con il genocidio portato avanti da Israele in Palestina – e con tantissimi altri conflitti su scala globale – tramite accordi con aziende produttrici di armi come Leonardo SpA; C’è chi, invece, ha ricordato l’implicazione diretta dell’Università di Pisa nel progetto della nuova base, evidenziando la necessità di trasparenza anche su questo versante. Con il decreto del 29 giugno 2024 che ha ratificato il progetto della base militare, infatti, l’implicazione dell’Università si è resa esplicita nella previsione di compensazione per la ristrutturazione di uno stabile dell’Università nei pressi del CISAM.

“Vogliamo ricordare che il Presidio di Pace dei “Tre Pini” è un luogo formalmente di proprietà dell’Università di Pisa, così come tutti i terreni intorno al CISAM, parte dei quali sono però lasciati in abbandono. […] Con la promessa di ristrutturazione di uno stabile dell’Università “l’ex Bigattiera” , lo Stato ha evidentemente avviato una collaborazione con la governance universitaria.
Una collaborazione di cui non troviamo traccia in documenti ufficiali, su cui la governance non si è mai espressa e su cui rivendichiamo chiarezza e pubblicità per sapere a quale titolo e in quale forma l’Università di Pisa è coinvolta in un progetto che nulla dovrebbe avere a che fare con un’istituzione accademica. Come studenti pretendiamo l’assegnazione ufficiale da parte dell’università del terreno dove si trova il presidio di pace “Tre Pini” affinché San Piero si animi della voglia di tantissime persone di immaginare e lottare insieme per un mondo diverso, senza armi e soprattutto senza basi militari.”
intervento di una studentessa durante il presidio al CISAM

Con il movimento transfemminista di Non una di meno abbiamo rafforzato la necessità di mobilitarci contro la base e contro la guerra per fare la nostra parte per trasformare un sistema ingiusto fondato sul dominio patriarcale e suprematista sulle popolazioni, sulle donne, sulle persone migranti, che nella militarizzazione ha la sua prima arma e strategia; abbiamo ricevuto dall’Adriatico e dalla Sicilia, messaggi di complicità e solidarietà (vedi in fondo i contributi del Movimento No Ponte e di Rete per il Clima Fuori dal Fossile); insieme a realtà sindacali di base, partiti e collettivi studenteschi pisani, così come con organizzazioni pacifiste e cattoliche dalla Toscana e non solo, una ricchezza di prospettive e sensibilità ha contribuito a comporre da più parti una nuova esigenza di definizione della Pace che vogliamo per noi, dal basso dei territori e delle popolazioni che non vogliono subire la violenza del riarmo, dell’economia di guerra e dell’occupazione di servitù militari.

Proprio questa esigenza ha trovato spazio di discussione e dialogo domenica, nell’assemblea “Disarmare la Pace”, al presidio di Pace dei “Tre Pini”. A partire dalla proposta di movimenti pacifisti cristiani come Pax Christi, in tantissimə abbiamo risposto all’appello lanciato da cristiani e cristiane no base. Un appello a “disarmare la pace”, ad immaginare insieme, unendoci nelle diversità, una pace giusta, che sia una pace da e per i popoli e i territori, che non può che essere disarmata.


Il contributo del movimento No Ponte:

Un saluto a tutti e tutte dalla Sicilia. Siamo lì con voi in questa giornata resistente. Usiamo questa parola perché ieri in tutta Italia si sono riempite le piazze in memoria dei partigiani e della loro resistenza. Una giornata che parla di libertà, di lotta, di dignità. Parla di Resistenza.
La domanda che ci siamo fatti è stata però: di quale Resistenza parliamo?
Perché la Resistenza non può essere un fatto chiuso nei libri di storia. Non può essere una commemorazione svuotata, rituale. La Resistenza o è viva, o non è. O si fa ogni giorno, o non esiste.
E allora parliamo del presente. Parliamo della guerra che ci attraversa. Parliamo, e dobbiamo farlo certamente, di quella che colpisce le città, le case, i corpi in Palestina, in Ucraina, in Sudan, in Yemen e in tutto il mondo. Ma dobbiamo nominare anche quella che si insinua nei nostri territori, dietro decisioni calate dall’alto, imposte sulla pelle della gente. Parliamo di quello che sta avvenendo in tutta Italia dalla Valle, passando da Coltano fino all estremo sud con il ponte sullo stretto e le basi militari nato e usa.
Tutto questo ha un nome: si chiama GUERRA. La guerra quella fatta col cemento, con gli espropri, con i cantieri infiniti e le zone interdette.
Il Ponte sullo Stretto, come le basi militari, sono il simbolo di tutto questo. Non sono infrastrutture inutili al territorio. Sono l’incarnazione di un’idea malata di sviluppo, quella che trasforma la terra in merce, che militarizza i territori, che impone senza ascoltare.
Ci vogliono convincere che questo sia progresso.
Ma il progresso non è distruggere paesaggi, comunità, biodiversità per fare profitto. Questo è colonialismo. Un colonialismo che considera la Sicilia e i territori terra di conquista, una luogo da gestire, senza considerare chi quel territorio lo abita.
Parlano di “opere strategiche”. Ma per chi? Non per noi. Non per chi vive ogni giorno il dissesto idrogeologico, le frane, la sanità pubblica al collasso, le strade dissestate, i treni fermi.
Chi sa di cosa hanno bisogno i territori sono le persone che li abitano, e non è sicuramente  il cemento. C’è bisogno Di risposte reali e non di mitologie ingegneristiche o di basi per la guerra.
E allora oggi, come ieri in occasione del 25 aprile, non basta ricordare chi ha combattuto contro il fascismo e costruire giornate puramente commemorative.
Dobbiamo chiederci: dove sono oggi le nuove forme di oppressione? Dove si costruiscono oggi le nuove resistenze?
Perché lo diciamo chiaramente: i territori non sono pagine bianche su cui stampare decisioni autoritarie. Sono corpi vivi, intrecci di relazioni, memorie, lotte e desideri.
E allora, oggi, resistere significa anche immaginare un’alternativa a questo modello. Rompere il mito delle Grandi Opere. Denunciare a gran voce le fabbriche di morte come la Leonardo Spa. Non abbandonarsi alla paura repressiva ma fare della repressione un campo di forza collettiva. Spezzare la narrazione che ci vuole spettatori e non protagonisti. Chiamiamo tutte e tutti a costruire insieme spazi di confronto e di conflitto, perché oggi è necessario costruire un altro orizzonte. Un’altra idea di futuro.
Perché come dicevano quelli che hanno fatto la Resistenza vera, con le armi e con le parole:
la libertà non si eredita. Si conquista. Ogni giorno.