Pisa presente al matrimonio di Bezos a Venezia… ma per contestarlo!

In questi giorni è apparsa sulla stampa locale la notizia della presenza discreta ma importante della nostra città all’evento mondano dell’anno.. un’azienda di catering pisana, la Salza, al matrimonio da 30 milioni di euro di Jeff di Amazon. Su riscatto Pisa condividiamo un’altra presenza, ben più significativa di quella del noto marchio pisano Salza, quella delle lavoratrici e dei dipendenti in appalto Amazon del nostro territorio, organizzati nel sindacato sociale multi… condividiamo l’articolo che racconta il punto di vista operaio di questa contestazione! Buona lettura

“No Space for Bezos”: Venezia si ribella al matrimonio dell’oligarca

Drivers del sindacato sociale MULTI, insieme alla Laguna che Resiste, contestano la spettacolarizzazione della città e denunciano lo sfruttamento targato Amazon.

Jeff Bezos è arrivato a Venezia per sposarsi, pronto a trasformare la città in uno spettacolo privato. Ha affittato hotel, ristoranti, palazzi storici, ha bloccato taxi e altri mezzi pubblici e privati, spendendo decine di milioni di euro. Tutto questo perché lui può. Perché è un oligarca, uno dei più ricchi del pianeta. O almeno, avrebbe voluto tutto questo.

Ma una parte della città ha detto no. Di fronte alle proteste e alla mobilitazione popolare, Bezos è stato costretto a spostare la celebrazione fuori dal centro storico. Il messaggio è arrivato forte e chiaro: Venezia non è un fondale da cartolina, ma una città viva, abitata da persone reali che rifiutano di essere comparse nella messinscena dei potenti. La campagna “No Space for Bezos” si sta diffondendo ovunque. L’obiettivo è rompere il silenzio mediatico che trasforma un matrimonio miliardario in gossip da rotocalco, alimentando una narrazione narcisista, capitalista e ipocrita della società.

In questo spazio di contestazione entra con forza la necessità di fermare l’invasione dei nostri territori da opere inutili, merci che creano bisogni artificiali, ritmi di vita e lavoro insostenibili, barriere che ostacolano la libertà di movimento e città trasformate in parchi giochi per i ricchi. Grazie a questa mobilitazione si denuncia anche il legame tra potere economico e guerra, tra intelligenza artificiale e tecnologie militari, tra turismo sfrenato e impoverimento generalizzato.

Chi siamo: lavoratori sfruttati sotto il sorriso di Amazon

Noi siamo drivers (autisti) delle società in appalto per Amazon. Ogni giorno consegniamo miliardi di pacchi, confezionati con un sorriso che nasconde la nostra fatica. Siamo stati assunti in massa durante la pandemia, quando tutto era chiuso e noi – definiti “essenziali” – attraversavamo le città per nutrire un algoritmo. In quel periodo i fatturati di Amazon sono raddoppiati. Da allora, la dipendenza dal commercio online è aumentata. E con essa lo sfruttamento del nostro lavoro. Il nostro impiego è minacciato dai droni, dai software che controllano ogni nostro movimento, dai contratti part-time fittizi e dalle condizioni sempre più precarie.

Bezos spende 30 milioni di euro per il suo matrimonio: lo 0,25% del suo patrimonio. L’equivalente di 5 euro per uno di noi. Ma noi quegli stipendi da favola non li vediamo.

Da Pisa, dove abbiamo contribuito a fondare un sindacato sociale e indipendente – MULTI – siamo arrivati a Venezia per raccontare la verità dello sfruttamento che si nasconde dietro il sorriso artificiale dell’“organizzazione intelligente” Amazon. Assieme ai comitati ambientali, ai giovani e alle studentesse, ai residenti e alle forze che si battono contro la guerra, affermiamo con forza che non ci piegheremo di fronte ai ricatti di questo oligarca. La nostra società ha bisogno di cambiare!

Condizioni di lavoro: la realtà che nessuno vuole vedere

I nostri contratti seguono il CCNL Logistica e Trasporti. In teoria. In pratica, un accordo di secondo livello garantisce una trasferta giornaliera di 19 euro (25 la domenica), ma in cambio l’associazione datoriale Assoespressi impone un allungamento della settimana lavorativa a 43 ore, pagate 39. Lo chiamano “discontinuità”, ma è solo un modo per farci lavorare gratis.

Se non finisci la rotta, devi restare oltre l’orario. Se ti fermi, sei sotto controllo tramite software che monitora ogni metro percorso e ogni secondo della tua giornata. Amazon ha il totale controllo.

Usano contratti part-time verticali e a termine in modo abusivo. Dopo tre anni, ci dicono che non siamo più adatti. Non per mancanza di capacità, ma perché il nostro corpo è distrutto. Perché stiamo male. Ecco cosa vuol dire lavorare per Amazon.

La testimonianza di una driver del sindacato MULTI

Lavoriamo 9 ore, di cui 8 pagate e una gratis. Bezos, per te! Un’ora gratis ogni giorno. Mezz’ora di pausa non retribuita. Se stiamo male e andiamo in malattia, grazie agli accordi vergognosi firmati dai sindacati confederali, ci tolgono tutto. Sapete cosa significa? Che se ti ammali e resti a casa, non ti pagano! Ci hanno messo l’assenteismo in busta paga. Noi quei tanti mila euro non li vediamo. Ci tengono con contratti part-time, ma ci fanno lavorare cinque o sei giorni a settimana, con l’illusione di un contratto fisso. Ma in Amazon lo dicono chiaramente: i corrieri possono lavorare solo tre anni, poi sono da buttare via. Perché dopo tre anni stiamo male. Il nostro corpo è a pezzi. Noi soffriamo, e questo dovete saperlo: tutti i clienti di Amazon devono sapere.

Da oggi, prima di fare un ordine, chiedetevi se ne avete davvero bisogno. Perché Amazon ci sfrutta. Sfrutta noi come lavoratori e lavoratrici, ma anche voi come clienti e utenti della sua piattaforma. Amazon ci sfrutta, ci deruba e poi ci butta via. Oggi, grazie a voi, abbiamo il coraggio di non avere paura. Perché ci ricattano, ci minacciano di licenziamento ogni giorno. Ma noi siamo già nella merda. Noi stiamo già male. Non riusciamo più a pagare nulla a fine mese. Non facciamo pause, non riusciamo nemmeno a pisciare. Durante il Covid noi eravamo considerati “essenziali”, gli unici a lavorare. E ora, sotto i 45 gradi, se ci fermiamo ci chiamano e ci mandano messaggi che dicono: ‘La vostra sicurezza è più importante di un pacco’. Ma non è vero. Non c’è nessuna sicurezza per noi. Mia figlia ogni giorno, quando esco per andare a lavorare, mi dice: ‘Mamma, metti la cintura. Mamma, vai piano’. Ma per fare 150 consegne al giorno, bisogna correre. In più abbiamo le franchigie. Qualsiasi danno, anche se abbiamo ragione, ci viene scalato dalla busta paga: 519 euro. Senza chiederci il permesso. Ci derubano. Ci espropriano. Ci stanno togliendo tutto.

Questa è una richiesta di aiuto. Perché noi viviamo male. Non è vero quello che dice Bezos, che siamo ‘fortunati’ e che ‘lavoriamo col sorriso’. Oggi qui, la città di Venezia ha dimostrato di essere unita e consapevole, di non credere più a queste bugie. Grazie.”

Conclusione: il potere si sfida dal basso

Il potere di Bezos è multiforme. Ha una potenza di fuoco economica e mediatica paragonabile a quella di uno Stato. Ma oggi, a Venezia, grazie all’organizzazione, alla lotta e alla solidarietà, si è sollevata una voce diversa: non ci pieghiamo al potere. Non siamo comparse nel suo spettacolo. Non ci rassegniamo.