Molto più di 194, cosa vuole da noi Simone Pillon?

Riportiamo da infoaut.org un approfondimento sul disegno di legge Pillon; stasera alle 18.00 alla Mala Servan Jin si terrà un’assemblea di Non una di meno aperta alla cittadinanza per approfondire queste tematiche e organizzare i prossimi momenti di mobilitazione.

Il disegno di legge è arrivato in commissione Giustizia del Senato lo scorso 10 settembre 2018. Chi è il primo firmatario è Simone Pillon? Perché questo disegno di legge e l’idea che lo sottende sono un attacco alle donne, ai bambini e bambine e alla società?

Chi è Simone Pillon?

Da sempre attivo nel mondo cattolico è tra i promotori e gli organizzatori del Family Day. Avvocato esperto in diritto penale e diritto di famiglia è anche un mediatore familiare e fervente sostenitore di questo praticantato. È inoltre tra i promotori del gruppo parlamentare “Vita Famiglia e Libertà” di cui fanno parte 150 deputati e senatori. Sono ormai note le plurime dichiarazioni di Pillon contro il diritto all’aborto libero e sicuro: l’attacco non è ancora frontale ma ben presente. Queste sono solo alcune dichiarazioni:
1) «Noi sosteniamo la vita quindi dobbiamo convincere ogni donna a tenere il suo bambino»
e se vuole abortire?
«le offriamo somme ingentissime per non farlo»
e se vuole ancora?
«glielo impediamo»
2)«dobbiamo sostenere la maternità altrimenti nel 2050 ci estingueremo come italiani»
3)“Occorre aiutare le donne che vogliono abortire perché si trovano in difficoltà economiche e sociali. Le politiche che il ministro Fontana intende fare, con importanti aiuti alle famiglie, vanno in questa direzione”.

Quali sono gli obiettivi dei disegni di legge proposti da Simone Pillon?

Guardando questi disegni di legge sono diversi gli obiettivi che si possono scorgere. Non è semplice un’analisi profonda poiché tutto continua a svolgersi nella confusione e il dibattito pubblico è fermo alla retorica dell’”aiuto ai padri sfruttati dalle ex mogli”. Ovviamente questa è una strategia per sviare dai reali contenuti della legge proposta. La nostra analisi è sicuramente non esauriente ma vogliamo alzare alcuni punti di discussione.
Il primo è sicuramente un attacco diretto alla possibilità di autoderminazione delle donne e dei bambini, ma probabilmente anche molti uomini saranno colpiti da queste misure. Questo è sopratutto un attacco – non esplicito e ben mistificato – all’accesso al divorzio.
Con questi DDL si cerca, nella realtà dei fatti, di riaffermare una mentalità patriarcale e maschilista, della famiglia con la figura dell’uomo al centro. La retorica è invece quella dell’uguaglianza tra uomo e donna anche nella genitorialità. Questa uguaglianza è concepita come un meccanismo freddo e matematico e la genitorialità proposta sembra quasi un lavoro a cui corrispondono dei soldi e del tempo.
Il secondo riguarda la genitorialità. Questa mentalità non può che andare ad aggravare una situazione già difficile per quanto riguarda l’educazione all’affettività dei bimbi/e e dei loro genitori. Non è neanche concepibile che provino o pensino qualcosa. L’unico modello genitoriale previsto è quello della famiglia madre-padre-figli nel quale non importa la qualità del rapporto e i valori che lo fondano. Sicuramente peggiorerà ulteriormente la condizione dei bambini concepiti come un pacco da dividere, un possesso da reclamare.Una riaffermazione violenta della famiglia intesa in senso chiuso e autoritario. Viene inoltre legittimata la PAS (Sindrome d’Alienazione Parentale) come “malattia” che può portare all’esclusione della potestà genitoriale. Per dirla brevemente un genitore, quasi sempre la madre, che denuncia abusi su di sé o sui figli avrebbe una forma di malattia psichica alienante che porta al plagio e alla manipolazione dei figli contro l’altro genitore.
Con ciò passiamo al terzo punto della violenza. “In caso di violenza domestica non ci può essere affido condiviso. Ma le dico di più: vogliamo punire tanto la violenza quanto le false accuse di violenza”, spiega Pillon in un’intervista a Vanity Fair, riferendosi a quelle accuse che lui definisce strumentali, “usate come minaccia per ottenere la custodia del figlio e alienarlo dal partner”. La definizione della violenza viene sempre più chiusa all’interno di un concetto legalitario e securitario che nulla cambierà nella quotidianità di chi lotta per emanciparsene. È autoevidente come tutto ciò andrà a influire in maniera drammatica sull’emersione dei casi di violenza domestica: chi porrà il problema sarà una/un malato mentale bugiardo. Non servono altri commenti.
Inoltre il dato materiale dei costi di un divorzio costruito in questa maniera (obbligatorietà della mediazione familiare) sarà un enorme scoglio soprattutto per le famiglie meno abbienti. In questo contesto i rapporti di coppia sono già molto asimmetrici, le donne spesso non lavorano o lo fanno al nero, sono legate al marito per la sicurezza del reddito familiare. Sarà quindi molto difficile iniziare e portare a termine un divorzio rischiando di finire sul lastrico e in mezzo a una strada (sarà previsto il pagamento di una somma a carico dell’ex coniuge che rimane nella casa coniugale in favore dell’ex coniuge che non vive più lì ma ne è proprietario). Sparirà anche l’assegno forfettario: l’ex coniuge pagherà le spese per il mantenimento della prole direttamente alla fonte. Ma nessun sostegno economico è previsto nelle situazioni critiche. Le donne continuano a vedere la loro possibilità di sopravvivenza legata a un uomo o affidata allo sfruttamento del mercato del lavoro.

La domanda è giusta, la risposta sbagliata

Guardando il quadro d’insieme è fondamentale costruire delle lotte a partire dalle contraddizioni reali e provare a costruirvi una risposta affrontando anche gli aspetti più difficoltosi in cui l’ambiguità di queste manovre sguazza. Le difficoltà economiche e sociali non possono essere utilizzate per portare avanti delle manovre reazionarie sono anzi delle possibilità per attaccare il governo e conquistare spazi di riscatto per le donne (e la società).
Pillon è solo uno tra i tanti restauratori che si sono seduti al governo di questo paese. Precedentemente le politiche contro la violenza sulle donne sono passate per una militarizzazione della loro sicurezza in un quadro di emergenzialità e non di prevenzione e modificazione del contesto politico, culturale e sociale. Ora l’ambiguità con cui vengono costruite le manovre del governo è ancora più subdola. Un attacco frontale che però insinua il dubbio e tenta di frammentare le donne.
Il loro corpo, la loro vita e sicurezza è un campo retorico per promulgare misure che nella pratica vanno a chiudere e imprigionare un bisogno di cambiamento e indipendenza.
Sono due i lati della stessa medaglia. Uno liberale ha prospettato un cambiamento possibile all’interno di questo sistema senza mai conquistare niente e portando all’attuale situazione di chiusura e impotenza. L’altro immobilista che parla di sicurezza e autonomia solo in termini emergenziali, lasciando di fatto il contesto sociale immutato. Entrambi utilizzano la strumentalizzazione della violenza in termini di sicurezza e controllo per la società tutta.
Oggi la battaglia in atto deve essere qualcosa in più di uno scontro retorico col governo del Medioevo. Far ciò rinchiuderebbe il campo del discorso su un’ambiguità, costruita ad arte dalla controparte, che favorisce i suoi obiettivi reazionari.
Una lotta delle donne oggi deve andare a toccare la profondità sociale della crisi, provare a capirla senza giudizi pietistici, vittimistici o da evangelizzazione di sinistra. Capire, riconoscersi è il primo passo per contrastare realmente il tentativo della controparte. Non possiamo fermarci sulla superficie: dobbiamo fare i conti con alcune difficili dati di realtà che il governo usa contro di noi perché ha paura che vengano usati contro di lui. Uno di questi è la difficoltà della scelta, per non parlare della scelta libera. Soprattutto le giovani donne si trovano di fronte a una realtà e società che le ha formate all’incapacità della scelta: lo slogan “sul mio corpo e sulla mia vita decido io” è un presupposto di partenza ma prima di tutto un obiettivo da realizzare nella lotta. Per incidere sulla possibilità della scelta è, per noi, necessario partire da un’affermazione della propria esistenza e della propria sopravvivenza: affrontare le tematiche del welfare, del lavoro e della salute sono dei campi di sperimentazione in questa direzione. Acquisendo fiducia in se stesse, ricostruendo capacità annichilite e relazioni nuove potremmo avere la possibilità di rendere chiaro e affrontare il CONTENUTO della scelta con una forza che ci permetta di contare, non di rappresentare.
Come sabato scorso a Verona migliaia di persone hanno attraversato lo spazio cittadino così il 10 novembre sarà un’occasione per attaccare chi ci vorrebbe reinserire forzatamente in uno sfruttamento naturalizzato. Lo stato di agitazione permanente è iniziato, il 24 novembre sarà una tappa verso lo sciopero dell’8 marzo 2019!

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