«Essenziale è il nostro sciopero». Un racconto dell’8 marzo a Pisa

Intensa, partecipata, gioiosa, arrabbiata.

La giornata dello sciopero globale transfemminista dell’8 marzo, lanciata a Pisa come in tantissime città italiane e in tutti i continenti da Non una di Meno, si è articolata in un puzzle di iniziative e prese di parola.

photo5924652672252753318La mattina davanti alle scuole, per denunciare la non inclusività del mondo della formazione, il suo soggiacere a umilianti stereotipi, il suo marginalizzare le intelligenze, i desideri, i saperi non conformi. Fino alla punta dell’iceberg, la molestia sessuale del professore – maschio, adulto, armato di voti – nei confronti della studentessa. Fenomeno non isolato e non marginale ma sottostimato o addirittura nascosto. Rompere la logica delle vittime silenziose è stato solo il primo passo.

Dalle scuole alla piazza Lotto Marzo (sotto il Comune leghista che “festeggia” la “giornata della donna” regalando mimose alle esponenti di sesso femminile delle forze dell’ordine) per ricordare che se la pandemia attacca tutti, le donne sono colpite di più: 10 sagome di cartone, 9 rosa e una bianca indicano le 99.000 donne (su 101.000 persone) che hanno perso il lavoro a dicembre. Pandemia vuole dire anche che sono 7 su 10 le donne morte per Covid sul posto di lavoro, a significare chi fa il lavoro di cura. E che smart work e didattica a distanza hanno trasformato il lavoro delle donne in un 24/24, chiuse in case che possono diventare prigioni. E uccidere.

17 le donne uccise dalla violenza patriarcale dall’inizio dell’anno.

Nel pomeriggio centinaia di biciclette fucsia hanno attraversato la città, risignificandone gli spazi: davanti alla Coopphoto5924652672252753307, per denunciare l’arricchimento della grande distribuzione organizzata e il pink washing utilizzato come ennesima strategia di profitto; al Polo Piagge ridedicato a Cornelia Fabri (1869-1915), matematica, prima laureata di quella Università di Pisa che ancora pensa che ci siano saperi “più adatti alle donne” in una città in cui quasi tutto, Università – strade – piazze – scuole è dedicato a uomini spesso onorati perché guerrafondai razzisti e assassini; all’INPS che sulle donne specula e lucra, disconoscendo il molteplice lavoro cui le donne sono soggette, lavoro spesso non retribuito, non conteggiato a fini pensionistici, non valutato nelle invalidità; ancora alle scuole di via Benedetto Croce per lanciare una scuola transfemminista ed inclusiva; in Piazza Vittorio Emanuele militarizzata, ma non resa sicura, dall’apparato muscolare dello Stato. E poi ancora l’anello dei Lungarni fino alle Logge di Banchi dove si è snodata una lunga, intensa, partecipata assemblea: studentesse universitarie e medie, lavoratrici “essenziali”, mamme in dad, ragazzu trans, donne migranti, per tessere il filo fucsia di lotte che si riconoscono, si intersecano, si saldano.

Tante e tanti altri raggiungono la piazza. C’è photo5924652672252753253entusiasmo nell’aria, e forza, e voglia di esserci.

Si va avanti, tra testimonianze, canzoni, performance fino a straripare dalla piazza e invadere il Ponte di Mezzo, fino a sera.

 

Una giornata ricca. Con il pensiero alle militanti che combattono in Rojava. E a Dana, Fabiola, Eddi colpevoli di non piegarsi alle distruzioni del capitale e del patriarcato.

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