Grandi successi e soddisfazioni per il 2024 nei Musei dell’Ateneo di Pisa: ma a quale prezzo?

Nell’ultima settimana diverse testate locali hanno riportato numeri “straordinari” di resoconto dei successi dei musei del Sistema Museale di Ateneo pisano e del centro autonomo di Ateneo del Museo di Storia Naturale dell’Università di Pisa in merito all’anno da poco giunto al termine.

Nei comunicati usciti si snocciolano le migliaia di visitatori del 2024 come risultati record, si elencano mostre e iniziative dai titoli e dalle tematiche accattivanti e collaborazioni illustri, prospettando un nuovo anno “ricco di proposte e iniziative”, ma dietro alle soddisfazioni ostentate dalla dirigenza museale d’ateneo e dall’Università di Pisa si nasconde una ben più amara realtà.

Dal primo di gennaio, infatti, i tagli sanciti a dicembre dal consiglio di amministrazione dell’università di Pisa hanno già portato i loro primi evidenti effetti. La loro ricaduta è stata immediata sui servizi per i/le studenti e sulle vite della parte più sfruttata del sistema universitario, quella dei lavoratori e delle lavoratrici esternalizzate, per i cui servizi di portierato e pulizie è stato approvato un taglio di 1,76 milioni di euro (che si vanno a sommare ad altre voci di tagli, che non approfondiremo in questo articolo, per un totale di 13,91 milioni di euro). 

Le ripercussioni di questo ingente taglio sul personale delle cooperative Teamservice e SNAM impiegato nei dipartimenti, nelle aule studio e nelle biblioteche, colpiscono duramente anche i servizi del sistema museale di ateneo e il Museo di Storia Naturale in appalto alle stesse cooperative.
Le direzioni dei musei coinvolti nei tagli, eseguendo (se non quando anticipando), senza particolari giustificazioni pubbliche né rimostranze esplicite, la linea dettata a dicembre del cda, hanno già attuato riduzioni di orari di apertura al pubblico e di numero di persone per turno, in alcuni casi a partire dal primo di gennaio.

Questo ha comportato immediatamente e comporterà sempre più, seppur in misura e forme differenti, conseguenze molto gravi per le condizioni di lavoro del personale (che già lavora in condizioni molte volte estreme e percependo uno stipendio molto esiguo) e per il servizio tutto. Si parla di orari di lavoro sempre più spezzati, non rinnovo dei contratti a tempo determinato, sovraccarico di mansioni dato dalla riduzione del personale in turno, riduzione delle ore di lavoro, impossibilità di copertura delle ore di contratto nell’abituale luogo di lavoro con conseguente obbligo a costi di spostamenti nei termini di tempo e di denaro. Una pretesa di “flessibilità” estrema, già tipica di questo genere di contratti, che però, a queste condizioni, rischia di travolgere definitivamente qualsiasi esigenza minima di vita e di lavoro.

Questo è il prezzo, ad oggi ancora troppo invisibile, che l’università ha messo in conto di far pagare alle lavoratrici e i lavoratori per continuare a garantire ai numeri record di visitatori l’accoglienza al museo “sempre sorridenti”, i servizi di acquisto e l’accesso alle sale, come se niente fosse. E non è detto che sia tutto.
Ci sono buone ragioni per prevedere che, se non fermate, queste non siano che le prime avvisaglie di una valanga di conseguenze dell’operato scellerato e poco lungimirante dell’amministrazione universitaria che continuerà a ricadere a cascata prima di tutto su chi lavora ma, conseguentemente, anche sulla qualità del servizio museale, con sempre più nere prospettive per il futuro delle entrate delle migliaia di accessi ai musei che tanto fanno comodo e vengono sbandierati dall’università stessa.

Gli effetti di questi tagli sono già in atto anche in altri ambiti lavorativi dell’università e incombono sul suo intero sistema nel prossimo futuro: nelle prime settimane del 2025 le lavoratrici delle pulizie delle medesime ditte, per esempio, hanno perso decine di ore mensili l’una, con perdite in termini di salario e un aumento dei carichi di lavoro già usuranti e nocivi; a maggio dovrà essere rinnovato l’appalto delle biblioteche, con possibili ulteriori rischi di continuità occupazionale e di monteore per le lavoratrici che ora sono assunte come esternalizzate. Infine, l’Ateneo ha ancora formalmente il potere di tagliare sull’appalto in corso, all’occorrenza e secondo il proprio tornaconto, di fatto potendosi “permettere” di aggravare ulteriormente la situazione per il personale esternalizzato di portierati e pulizie da un momento a un altro.

Che l’ateneo pisano, come molti grandi sistemi della città (ospedale, comune…ecc) basi il suo mantenimento sul lavoro a basso costo e invisibilizzato di personale esternalizzato non è una novità. Così come non è una novità che parte del suo profitto sia fondato su appalti vinti a ribasso da cooperative che fondano la loro esistenza sull’usura, la flessibilità e la precarietà delle lavoratrici e dei lavoratori (si veda la fantomatica figura del “Jolly” per le sostituzioni o i tagli che da anni colpiscono il personale delle biblioteche).

La novità di questi mesi sono però le rovinose conseguenze senza precedenti di una scelta che, ancora una volta, mostrano l’università per ciò che realmente è: un’azienda con un conto sempre più in rosso e nessuna remora a tentare di tapparne i buchi a spese delle fasce più sacrificabili (mentre vengono messi 9,6 milioni a bilancio in più per docenti e ricercatori a tempo indeterminato, come scatti stipendiali e nuove assunœoni dal bilancio previsionale 2025 approvato), senza nessuna prospettiva di investimenti a lungo termine su quei servizi e quei lavori che invece, nella realtà dei fatti, risultano essenziali per la sua stessa sopravvivenza.

In tutto ciò, articoli di giornale e comunicati come quelli usciti in questi giorni riconfermano, con tentativi poco efficaci, la volontà di Università e dei Musei di ateneo di continuare rimuovere una responsabilità enorme, cercando di nascondere “la polvere” sotto il tappeto e invisibilizzare un problema che rischia di travolgerli. Ma si dice che chi si loda si imbroda, e questa non è polvere, ma una vera e propria frana.