La manifestazione di Non Una Di Meno attraversa la città tra università e strade, rompendo il silenzio con rabbia e autodeterminazione
Una giornata di lotta articolata in due momenti ha attraversato Pisa ieri, 25 novembre, nella giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Non Una Di Meno Pisa ha organizzato una mobilitazione che dalla mattina al pomeriggio ha animato università e centro città, portando in piazza circa un migliaio di persone.
La passeggiata arrabbiata tra i poli universitari

La mattinata è iniziata con una “passeggiata arrabbiata” che ha attraversato i luoghi della formazione universitaria pisana. Partendo dalla biblioteca, il corteo ha toccato i poli umanistici, scientifici fino a raggiungere ingegneria, rompendo la quotidianità accademica con slogan e interventi.
Studentesse e attiviste hanno denunciato come nelle scuole e università spuntino iniziative “contro la violenza di genere” solo il 25 novembre, mentre negli altri giorni dell’anno chi frequenta questi spazi viene umiliato, molestato e represso. La denuncia si è concentrata sulle contraddizioni di un sistema formativo che parla di violenza un giorno all’anno mentre quotidianamente perpetua logiche di controllo e disciplinamento.
Durante il passaggio nei diversi poli, studentesse si sono affacciate dalle finestre, alcune si sono unite al corteo. La rottura del silenzio e del “muro di omertà e disciplinamento” ha permesso riconoscimento reciproco e ha lanciato l’invito a organizzarsi insieme.
Il corteo pomeridiano: migliaia di donne attraversano la città
Il pomeriggio la manifestazione è partita alle 16:30 da piazza della Stazione, attraversando corso Italia, passando dalla sede dell’Apes, percorrendo borgo Stretto dove è stato raggiunto un muro su cui sono state appese parole e fotografie del movimento. Il corteo di circa un migliaio di persone – donne e soggettività contro la violenza di genere e patriarcale – si è concluso in piazza dei Cavalieri.
“Nessun ricatto sulle nostre vite”
Gli interventi hanno denunciato i continui ricatti che impediscono di ribellarsi alla violenza: non si può lasciare un compagno violento se con il proprio stipendio non si riesce a pagare un affitto da sole, non ci si può ribellare a un professore se l’università non sarà mai dalla propria parte. La critica si è rivolta a percorsi di fuoriuscita dalla violenza inadeguati, con istituzioni che propongono “vai da tua cugina” o “ti paghiamo un volo per tornare al tuo paese” invece di garantire casa, lavoro e supporto stabili.

La rivendicazione è stata chiara: servono misure economiche immediate, contratti stabili, stipendi dignitosi, una sanità pubblica accessibile, spazi di autonomia nelle scuole e università. L’autonomia economica è stata indicata come fondamentale: il 68,4% delle donne vittime di violenza domestica non lascia l’aggressore anche per mancanza di indipendenza finanziaria.
Guerra e patriarcato: la stessa violenza
Un filo rosso ha collegato violenza di genere, economia di guerra e questione palestinese. Le attiviste hanno affermato che la violenza patriarcale è la stessa che occupa, uccide, bombarda e sfrutta, e che guerra e patriarcato condividono una logica di dominio e controllo.
“Ci levano i consultori e la sanità pubblica e costruiscono basi militari”, hanno denunciato, collegando i tagli al welfare con l’aumento delle spese militari. L’analisi ha evidenziato come i tagli sulle vite delle donne e il genocidio in Palestina siano facce della stessa medaglia, rivendicando la necessità di bloccare la guerra partendo dai territori.
Il riferimento alla Palestina è stato costante: lottare per l’autodeterminazione dei popoli significa lottare per l’autodeterminazione dei corpi. Il movimento ha annunciato che sarà presente anche il 28 novembre in piazza contro la finanziaria di guerra.
Le voci del Laboratorio Italiano di Sant’Ermete
Particolarmente toccante l’intervento del Laboratorio Italiano, che ha portato le voci di donne migranti. Hanno denunciato come la violenza passi anche attraverso la mancanza di conoscenza della lingua, che impedisce di trovare lavoro e chiedere aiuto. “Non sappiamo dove andare, dove portare altre donne per trovare aiuto. Anche questa è violenza”, hanno affermato.
Una testimonianza ha raccontato la forza trovata nella solidarietà collettiva: quando una proprietaria di casa è arrivata con minacce di sfratto e polizia, la paura per sé e per le figlie è stata superata grazie al supporto di altre persone in lotta. “Ho chiamato altri e ho avuto un’altra forza. Ho avuto la forza di rispondere alle minacce. Prima piangevo e basta, dopo mi sono sentita un’altra donna”.
“Siamo il grido altissimo e feroce”
La manifestazione si è conclusa con un messaggio chiaro: nessuno salverà le donne dalla violenza se non loro stesse, organizzate insieme. Il movimento ha rivendicato il diritto di essere “sguaiate”, di alzare la voce, di scegliere per sé stesse senza sottostare ai ricatti di chi le vuole “più ordinate, più rispettose, più mansuete”.
“Non ci sono luoghi dove passa e si costruisce la guerra che non conosceranno la nostra rabbia”, hanno annunciato, promettendo di bloccare con i propri corpi gli interessi di distruzione. Lo slogan finale ha risuonato in piazza: “Siamo e saremo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne, froce e trans che più non hanno voce”.
