Lo scandalo della Torre e il senso di Giustizia

Venerdì 17 novembre, a Pisa, un partecipato corteo composto da un migliaio di studentə e lavoratorə in sciopero ha attraversato determinato e rabbioso le strade della città, è arrivato in Piazza dei Miracoli e ha occupato per un’ora uno dei monumenti più famosi del mondo, la Torre di Pisa, calando dalla sua cima una gigantesca bandiera della Palestina. Migliaia di persone presenti nella piazza, provenienti da ogni parte del mondo, hanno girato foto, video, espresso solidarietà e consenso rispetto all’azione simbolica di portare all’attenzione mediatica l’urgenza di una presa di posizione collettiva e di massa rispetto al genocidio che lo stato di Israele sta conducendo contro il popolo palestinese. L’immagine della bandiera che sventola dalla Torre pendente ha fatto il giro del pianeta, dai media mediorientali come Al Jazeera agli influencer statunitensi, con le parole d’ordine che in questo momento stanno infuocando e attivando centinaia di milioni di persone in tutto il mondo: libertà per la Palestina, cessate il fuoco ora

In tutta Italia, e in proporzione ancora più significativa in molti altri Paesi, dal Canada all’Indonesia, si sta sviluppando un’esigenza inedita e larga di azione e mobilitazione per richiedere il cessate il fuoco ai propri governi, che racchiude le contraddizioni e le necessità di lotta e trasformazione imposte dal mostruoso contesto di Terza Guerra Mondiale che stiamo attraversando. Ciò che sta accadendo in Palestina e la complicità internazionale che sostiene Israele, capeggiata dagli USA, condensa insieme l’oppressione più brutale che la civiltà capitalista riesce a riversare sulla società e sui popoli colonizzati e la filiera effettiva che la consente: traffici di armi, sostegno politico dei governi, parzialità della conoscenza accademica e scientifica posta al servizio di fini militari e coloniali, supporto commerciale delle grandi aziende, interessi economici di multinazionali come ENI, manipolazione mediatica su scala globale, inettitudine degli organismi sovranazionali come l’ONU. Allo stesso tempo, l’esempio storico di vita e resistenza del popolo palestinese, sta suscitando un’esigenza di giustizia e di riscatto di massa, diffusi in ogni ambito della società, che stanno mobilitando e spingendo le persone a opporsi in ogni forma a ognuna di queste filiere, nella ricerca di incisività e di una risposta politica e di lotta al crimine che Israele sta compiendo. In Italia si susseguono le piazze da decine di migliaia di persone, le università e le scuole vengono occupate, i porti bloccati, i monumenti risignificati per messaggi di giustizia e solidarietà e non come merci, le ambasciate, i consolati, i negozi complici vengono sanzionati. 

Di fronte all’enormità del massacro in corso a Gaza, è evidente la sproporzione tra la narrazione mediatica che viene fatta di questo processo di ribellione nella società e il genocidio in atto: il giornalismo locale ha raccontato l’iniziativa di venerdì a Pisa come un gesto di un gruppetto di persone, presto individuate e indagate, fortunatamente concluso senza danni, senza violenza, senza troppi problemi per lə turistə se non un po’ di apprensione. Si parla di dettagli, di come è possibile che dellə studentə siano riusciti a salire sulla torre eludendo i controlli, del loro numero e dell’impatto sull’apertura o meno della Torre al pubblico, con toni scandalistici. Su molto altro che sta accadendo in Italia, dalla stampa nazionale cala il silenzio o la solita narrazione ideologica dellə estremistə pro Hamas. Si parla, invece, di cosa fa il governo italiano? Di ciò che accade in Palestina ogni minuto in questi giorni, ogni giorno negli ultimi 75 anni? Si parla delle milioni di persone che protestano nel mondo, di ospedali bombardati, bambinə mortə nelle incubatrici, di gente assassinata e rapita dai coloni israeliani? È la sproporzione, tra la realtà e la sua comunicazione, è il cortocircuito di una stampa conservatrice, se non reazionaria, che cerca di governare, gestire, soffocare un senso di giustizia che non appartiene a pochə, ma che è domanda di moltə e spinta a uscire di casa e manifestare. Ma è anche la cifra che ciò che è necessario e che è richiesto effettivamente da milioni di persone può e deve essere molto di più, che non ci si può accontentare, ma ricercare la concretezza di questo “senso di giustizia” e superare lo smarrimento di fronte a un sistema che propone sfacciatamente il bene come il male e il male come il bene. Nel frattempo, l’immagine della Torre di Pisa gira nei tiktok e instagram di tutto il mondo, perché migliaia di turistə in vacanza hanno colto il senso e l’urgenza della manifestazione dellə studentə, perché il senso di giustizia è più vero della stampa e dei grandi discorsi, perchè le immagini hanno un peso quando un problema è sentito con questa forza e urgenza.

Cosa fa la classe politica di fronte a questa situazione? Cosa fanno lə giornalistə? Cosa fanno intellettuali, accademichə, scienziatə, medicə, università? Queste sono le domande che vanno poste, le responsabilità reali di chi non parla, se non in minoranza, del crimine storico di Israele, di chi non agisce se non per sostenerlo o farsi in disparte per non cadere nei rischi del prendere una parte. 

Con confusione, sono anche altre le domande che moltə si fanno in diversi modi e a diverse latitudini: cosa si può fare per tendere a un mondo diverso, più giusto? In cosa potrà consistere la vendetta per quello che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania e che mai potrà essere cancellato? Chi ha interesse a lottare per la Palestina e perché? Quanto ancora si può fare nei quartieri, nelle scuole, nelle università, nei posti di lavoro, nei luoghi di comunicazione, nelle fabbriche, nei Carrefour e McDonald, ovunque passa la vasta catena che conduce alla macchina di morte israeliana? È la ricerca di queste possibilità, non come occasioni ottusamente strumentali, ma come effettivi luoghi in cui può concretizzarsi una domanda di cambiamento, il baricentro e la direzione a cui tendere.

Quello che si sta facendo è ancora pochissimo: cos’è una bandiera calata da un monumento, mentre le moschee vengono bombardate? Ma è già qualcosa che fa paura a un sistema di comunicazione e potere decadente e in crisi, perchè raccoglie un sentimento di maggioranza, di centinaia di studentə che a Pisa hanno scioperato, di altre migliaia che lo potrebbero fare la prossima volta e che i media non possono nominare ma neanche possono negare completamente. Perché esprime l’energia e la ricerca di un senso profondo della propria azione nel mondo che non sia chiusa nella impoverente e opprimente quotidianità di ognunə, ma aperta all’esperienza di una connessione con i problemi più urgenti e orribili del nostro tempo e a un’esigenza di dover fare la propria parte per trasformare le cose. Sciopero per la Palestina, sciopero contro la cultura della guerra, sciopero contro la riforma Valditara, tutto si mescola perchè unico è il senso di cambiamento che sempre più persone ricercano e perchè non c’è più aderenza, neanche minima, tra le parole e i fatti del Potere e la Vita delle persone. E la Palestina ne è l’esempio.

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